domenica 7 novembre 2010

Massoni: nemici dell'autorità

Prima hanno avallato e finanziato l’Unità d’Italia, ora vogliono dividerla per questioni di convenienza economica

L’unico pensiero che guida le iniziative dei “grembiulini” è il profitto

A un esame superficiale, l’intreccio fra Italia e massoneria, potrebbe apparire assurdo e inestricabile. Prima, quando l’Italia era un’espessione puramente geografica, la Massoneria si diede gran da fare per aiutarla a divenire una nazione; poi, divenuta nazione, si diede ancor maggiore da fare per distruggerla e farla tornare espressione geografica. Ma insomma: che cavolo vogliono, questi col grembiulino? Non lo sanno neanche loro?
Questo potrebbero chiedersi, gli esaminatori superficiali. C’è poi una categoria ancora inferiore agli esaminatori superficiali: quelli che non esaminano per niente, e non sanno che ripetere come pappagalli adulti quello che hanno loro inculcato da pulcini. Per loro, non c’è alcun problema. La Massoneria ha prima liberato l’Italia dalla tirannide straniera, e poi l’ha liberata da quella nazifascista: evviva la libertà! Ma rimettiamo il ciuccetto in bocca a costoro e rivolgiamoci ai superficiali, che almeno pensano!
Considerazione generale: nella realtà non esistono contraddizioni. Se uno ce le vede, deve solo tirare fuori il fazzoletto e pulirsi gli occhiali. Fatto?
La Massoneria non è che la versione iniziatica dell’illuminismo e, come quello, è fondata sull’idolatria della Ragione eretta a divinità. È quindi nemica giurata di ogni autorità fondata su qualcosa di diverso dalla convenienza, e il suo affermarsi fu facilitato dal fatto che ogni autorità del genere (e cioè “i troni e gli altari”) mostrasse per molti versi la corda. ma questo è un altro discorso. Non occorre rievocare il ruolo determinante che le sue logge rivestirono nelle rivoluzioni borghesi di fine Settecento: quella francese e quella americana. Massoni erano gli estensori della parigina Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e i registi della frode con cui essa fu spacciata per approvata dal popolo, e massoni erano i bianchi mascherati da indiani che uscirono dalla loggia di Boston per abbordare la nave del tè e scaricarne le casse in mare. Del tutto ovvio fu quindi il favore che il Grande Oriente di Londra riservò ai primi fautori dell’unità d’Italia. Non che quello fosse travolto da repentino amore per la penisola a forma di stivale: fu che il formarsi di uno Stato italiano avrebbe rappresentato un brutto colpo sia per l’impero degli Absburgo (e le sue dipendenze toscana ed emiliane), sia per il regno napoletano, sia per quello sardo, sia per quello pontificio, che di trono e altare faceva un tutto unico. Peraltro, ci aveva già più volte provato Napoleone (che dello stesso illuminismo rappresentava la versione militare), e gli appassionati ribelli italiani portavano una coccarda dei tre colori che erano stati delle effimere repubbliche francofile e massoniche. Per chi mai avrebbero dovuto “tifare” i fratelli col grembiulino: per il cardinale Ruffo?
Giunti però alla conclusione della prima Guerra Mondiale, con piena soddisfazione dell’autorità massonica, avvenne qualcosa di orribile (dal suo punto di vista). Avvenne che in due nazioni, l’una vincitrice ma tradita dalla pace e l’altra sconfitta ma mai militarmente battuta, lo spirito riprese i suoi diritti e giunsero al potere uomini e idee che, ricollegandosi alle autentiche tradizioni dei due popoli, osarono proclamare la preminenza della fedeltà ad esse sulla gretta “convenienza” economica.
Non che non vi fossero state anche in passato voci in tal senso, rimaste inascoltate. Ma il fatto gravissimo era che, giunte tali “utopie” al potere, non solo non fossero state smentite dall’economia sovrana, ma avessero conseguito successi anche economici così clamorosi da conquistare pacificamente sempre più ampi settori degli stessi popoli di cui la Massoneria pensava di avere il saldo possesso. Ma c’era di peggio: stavolta non si trovavano di fronte i cascami decaduti e svuotati di antiche caste, ma energie giovani e dirompenti, volte verso l’avvenire.
La minaccia di immatura morte degli “immortali principi” percorse come un gelido terrore tutta la Terra ancora retta dagli emissari della Grande Usura, mascherati da “democratici”, tutti insieme, come a un comando unico, percossi dall’orrore che le “dittature” reprimessero gli aneliti di libertà dei rispettivi popoli.
Nessuna rilevanza aveva per loro il fatto che i cattivi tiranni riscotessero punte di consenso popolare che nessuno di loro democratici si era mai sognate, neanche in preda a stupefacenti. Per chi è in malafede, infatti, anche l’evidenza può non avere rilevanza. E fu la grande congiura contro il Tripartito che riuscì a provocare la seconda (e assai peggiore) Guerra Mondiale. Dove mai poteva collocarsi, date le premesse, la massoneria se non fra i più fervidi fautori di quella congiura? E quali altre disposizioni poteva impartire ai propri adepti in Italia, presenti e ben mimetizzati in ogni ambiente, alti comandi militari compresi, se non quelle di boicottare in ogni modo le difese italiane, ponendosi a pieno servizio delle “potenze antifasciste”?
E questo, con assoluta coerenza, essa fece, manovrando ignobili carogne gallonate e poltronizzate, capaci di assassinare a tradimento, con le loro “preziose” informazioni, migliaia di giovani della loro gente mandati volutamente allo sbaraglio. Si tratta degli “articolo 16”, che l’Alighieri avrebbe ficcato senza esitare in Cocito, tra i denti di Satana. Ma mettetevi nei panni e nei grembiulini dei vertici massonici.
Di chi dovevano servirsi, per tale infamante bisogna: forse di galantuomini di specchiate virtù? Se quindi è fuori dubbio che i manutengoli italioti del dollaresco novus ordo seclorum meriterebbero a buon diritto di essere allineati ad ornamento dei bastioni, impalati all’uso turco, è anche certo che le loro alte e fraterne gerarchie si sono sempre comportate con lineare, implacabile coerenza, fedeli ai loro sempre dichiarati principi, senza deviarne neppure di una linea. Non sarebbe il caso che anche noi facessimo altrettanto?
Rutilio Sermonti

Articolo pubblicato su Linea anno XIII numero 225