giovedì 17 gennaio 2008

Armi di distrazioni di massa - Epidemie 1

MENING-ALLOCCO
Postato il Domenica 13 Gennaio 2008 (19:00) di carlo


Avendo smesso da tempo di guardare la TV, ascoltare la radio e leggere quotidiani, riesco quasi a vivere un po' più tranquillamente. In confronto a dotti, medici e sapienti, mi posso anche permettere di non battermi i petti per via delle terribili minacce poste alla nostra civiltà da Al Qaeda, i Rom che rapiscono bambini, i vicini di casa pedofili, o epidemie quali la Sars, l'aviaria o... la meningite.Fortunatamente, ogni tanto qualcuno mi avvisa di queste minacce, in modo che possa organizzarmi per la miglior difesa. Nel mondo tra le nuvole in cui colpevolmente vivo, ignoravo di star rischiando la vita ogni volta che uscivo di casa per via di questa spaventosa pandemia, ma per fortuna è ormai diventato argomento nella bocca di tutti grazie all'attenzione delle Famiglie Venete per la salute dei Propri Figli.Ho quindi deciso di spendere un po' di tempo per documentarmi sulla questione, partendo dai dati che ci fornisce il nostro Ministero della Salute in una recente nota:- L'Italia vede ogni anno (nel periodo invernale-primaverile) circa 900 casi di meningite (il tasso d'incidenza più basso d'Europa, ed in costante diminuzione), con una mortalità del 14 %.- Il germe mengingococco è presente nel 10 % della popolazione, ma molto meno dell'1 % ha un rischio reale di contrarre la malattia [1].- La maggior parte dei casi sono sporadici, ma esistono dei focali epidemici (cluster), soprattutto nelle regioni del Centro-Nord.- "Il contagio avviene da persona a persona con contatti stretti, in ambienti affollati mentre il batterio non riesce a sopravvivere nell'ambiente, né in alimenti, bevande o su oggetti: per questo non sono efficaci disinfezioni ambientali e non v'è un rischio epidemico che oltrepassi il circuito dei contatti stretti dei casi".- "il focolaio epidemico veneto [link] è anche il prodotto di una concomitanza accidentale di diversi fattori predisponenti: locali affollati, contatti stretti e presenza di molti individui non vaccinati e provenienti da zone del mondo ad alta suscettibilità alla malattia".Bene, grazie addirittura al Ministero della Sanità abbiamo chiarito che:1. Non c'è nessuna epidemia di meningite.2. Le possibilità di contrarla sono vicine allo zero. Infitamente inferiori alla probabilità di morire in un incidente stradale o per una malattia polmonare causata dal traffico automobilistico.Un certo "diabolicomarco" di MenteCritica.Net ha fatto notare che la Novartis, multinazionale farmaceutica in leggera crisi (2.500 posti di lavoro tagliati), sta considerando l'apertura di un nuovo stabilimento per la produzione di farmaci anti-meningite a Siena. Il fatto che l'annuncio arrivi in contemporanea con la nobile opera di sensibilizzazione sulla terribile pandemia svolta dai nostri mezzi di informazione è una pura coincidenza.Ora, su quanto i vaccini facciano bene alla nostra salute, e a quella dei bambini, esiste già un enorme documentazione. Si vedano i siti di Vaccination liberation (in inglese), quello del Comilva o la pagina di Disinformazione.it dedicata all'argomento.Adesso è quasi l'ora del Telegiornale, ma penso che andrò a dilettarmi con qualche videogioco. A differenza dei salutari vaccini, pare che queste diavolerie giapponesi possano devastare la propria sanità mentale. Beh, liberi di scegliere!

Marzian
http://www.comedonchisciotte.org/
14.01.2007

Note:[1] Tra i fattori predisponenti: deficit immunitario in corso, sistema immunitario sotto pressione e trattamento inadeguato di una malattia grave.

martedì 15 gennaio 2008

Seminatori d’odio e discordia

Tappano le bocche dei nemici e dei dissidenti.
Attuano un terrorismo mediatico per far tacere una persona candidamente invitata. Non lasciano all’altro alcuna liberta’ di parola. Mossi da odio, odio politico e culturale, gli studenti di sinistra hanno costretto il Papa a cancellare la visita alla Sapienza. Ratzinger, col suo distacco, ha dimostrato ancora una volta di noncadere nella trappola e non sottoporsi a questi piccoli giochi politici e bagarre di basso livello. Che riguardano, appunto, piccoli, piccolissimi uomini. Che continueranno, imperterriti, a seminare odio e raccogliere odio.



CITTA’ DEL VATICANO - Colpo di scena in merito alla contestata visita di Benedetto XVI alla Sapienza in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico. Il Vaticano ha annullato la visita del Papa ritenendo «opportuno soprassedere a seguito delle ben note vicende di questi giorni». Lo annuncia un comunicato della sala stampa vaticana. Il Pontefice non parteciperà dunque all’evento e si limiterà a inviare l’intervento che avrebbe dovuto pronunciare nel più antico ateneo romano. «A seguito delle ben note vicende di questi giorni in rapporto alla visita del Santo Padre all’Università degli Studi La Sapienza, che su invito del Rettore Magnifico avrebbe dovuto verificarsi giovedì 17 gennaio - si legge nella nota della sala stampa vaticana -, si è ritenuto opportuno soprassedere all’evento. Il Santo Padre invierà, tuttavia, il previsto intervento».
MOTIVI DI SICUREZZA? - La decisione di Benedetto XVI ha scatenato non poche polemiche nel mondo politico, portando lo stesso premier Romano Prodi alla dura condanna di un «clima inaccettabile». In merito ai motivi della cancellazione, fonti del Viminale fanno sapere che l’annullamento della visita del Papa all’ateneo romano è stata una scelta, maturata nel primo pomeriggio di oggi, dettata da motivi di opportunità e non da possibili problemi di sicurezza. Tutte le misure atte a garantire la piena sicurezza e l’ordinato svolgimento della visita di papa Benedetto XVI alla Sapienza erano state messe a punto nel corso del Comitato provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica riunitosi in mattinata, specificano dal Viminale. Secondo alcune fonti che in mattinata avevano preso parte al comitato provinciale per la sicurezza, alla presenza anche della gendarmeria vaticana, dietro la cancellazione della visita ci sarebbe un problema più di immagine che di sicurezza per l’incolumità del Santo Padre. La visita del Papa, in altri termini, sarebbe stata annullata per motivi di opportunità legati più che altro all’effetto che avrebbe potuto avere una contestazione verso il Pontefice, ripresa dalle telecamere e che avrebbe fatto rapidamente il giro del mondo.

«AMAREGGIATO»- La notizia della rinuncia alla visita arriva quando non si è ancora conclusa una lunghissima giornata di tensione proprio in merito alla visita. «Rammaricato» il rettore Renato Guarini, che spiega che già martedì dal Vaticano lo avevano preavvertito di una possibile defezione per via «della campagna mediatica in corso». «Non so se il Santo Padre deciderà di rinunciare alla visita all’Università, so che per le polemiche nate intorno alla sua presenza all’inaugurazione dell’anno accademico, è molto amareggiato» aveva infatti detto il rettore dell’ateneo dopo la lunga occupazione da parte degli studenti nell’aula del senato accademico, al termine della quale era stata concessa l’autorizzazione alla manifestazione degli studenti per giovedì 17 gennaio, giorno dell’inaugurazione dell’anno accademico e della visita del Santo Padre in ateneo. Ai giornalisti che gli chiedevano se la visita fosse a rischio Guarini aveva comunque risposto: «Non mi risulta».

«MINACCE DRAMMATICHE» - All’indomani della dura replica di Radio Vaticana (che ha parlato di «censura») alla lettera di 67 professori dell’ateneo romano (che hanno definito «incongrua» l’idea di invitare Ratzinger) anche i vescovi erano scesi in campo in mattinata definendosi «preoccupati » per il «senso di vuoto che c’è dietro» le proteste contro la visita del Pontefice. Sull’Osservatore Romano un commento di Giorgio Israel, professore ordinario di Matematiche complementari dell’Università di Roma La Sapienza dal titolo «Quando Ratzinger difese Galileo alla Sapienza» era stato accompagnato dalla precisazione di un intervento dell’allora cardinale Ratzinger «in una conferenza del 1990». Secondo il quotidiano vaticano «come ha detto bene Giuseppe Caldarola, emerge (dalle proteste di chi non vuole la visita, ndr) “una parte di cultura laica che non ha argomenti e demonizza, non discute come la vera cultura laica, ma crea mostri”. Pertanto, ripetiamo con lui - conclude l’Osservatore Romano - che “la minaccia contro il Papa è un evento drammatico, culturalmente e civilmente”».

GLI STUDENTI ESULTANO - «Fuori il papa dall’università». Cori di giubilo hanno la notizia della rinuncia del Papa alla visita alla Sapienza, nell’aula di Scienze politiche dove era in corso un’assemblea dei collettivi. «L’occupazione del rettorato ha dato i suoi frutti», dicono i ragazzi a caldo. In mattinata infatti gli studenti della Rete per l’autoformazione avevano occupato il Rettorato dell’università. «La Sapienza è ostaggio del Papa. Liberiamo i saperi». Questo lo striscione che una cinquantina di universitari appartenenti al collettivo aveva esposto dalla finestra del Rettorato dell’università, dopo aver occupato l’aula del Senato accademico.
«MAI AVUTI INTENTI CENSORI» - A nulla dunque è servita la nuova lettera con cui i 67 docenti che avevano definito come «evento incongruo» la visita di Ratzinger alla Sapienza hanno corretto il tiro, ripercorrendo le tappe che hanno portato allo scoppiare della polemica sulla visita papale. Tutto iniziò il 14 novembre del 2007 quando il professor Marcello Cini, docente emerito dell’ateneo, inviò una lettera aperta al rettore, pubblicata dal Manifesto. La lettera esprimeva il disappunto per la decisione del Rettore di invitare Papa Benedetto XVI a tenere la Lectio Magistralis di apertura dell’anno accademico dell’Università La Sapienza. Pochi giorni dopo, il 22 Novembre 2007, alcuni docenti della Sapienza, che condividevano le opinioni di Marcello Cini, hanno sentito il dovere di appoggiare questa sua iniziativa, inviando una seconda lettera al Rettore Renato Guarini nella quale si chiedeva di rinunciare a questo invito. In queste due lettere, inviate due mesi fa, «non c’era alcun intento censorio nei confronti del Papa, bensì il desiderio di una parte della comunità accademica di esprimere la propria opinione in merito alla decisione del rettore».

«DIRITTO DI PAROLA» - Sulla visita di Ratzinger alla Sapienza aveva preso la parola anche il sindaco di Roma e leader del Pd, Valter Weltroni. «Tra la critica e l’intolleranza c’è un confine che non si può varcare, e il Pd è perchè non sia varcato» aveva detto Veltroni. «Difendo il diritto del Papa a parlare all’università, anzi, affermo l’interesse della comunità universitaria ad ascoltarlo, così come difendo il diritto di parola di chi ne critica le posizioni» aveva dichiarato il ministro dell’Università, Fabio Mussi, intervenendo durante una conferenza stampa alla Camera convocata proprio alla luce delle tante polemiche in corso. Il ministro per la Famiglia Rosy Bindi aveva parlato ilvece di «proteste incomprensibili».

Fonte: http://www.corriere.it/cronache/08_gennaio_15/papa_cei_contro_prof_d278ed6c-c354-11dc-b859-0003ba99c667.shtml

da http://www.azionetradizionale.com/


giovedì 10 gennaio 2008

martedì 8 gennaio 2008

evitare confusioni....grazie!

Che cos’è la Tradizione

Vi sono due ragioni per le quali oggi è opportuno precisare il concetto il Tradizione in quella sua particolare accezione, per cui è divenuto abba­stanza corrente usare tale termine con la lettera maiuscola. La prima ragione è l’interesse crescente che codesta idea della Tradizione quale punto di riferimento ha suscitato e continua a suscitare negli ambienti della cultura e della contestazione di Destra, specie fra gli appartenenti alla nuova generazione. La seconda ragione riguarda il fatto che, nel contempo, e si può dire proprio per aver constatato tale interesse, si sono avuti tentativi di mettere avanti un’interpretazione sfaldata e annacquata del concetto di Tradizione, quasi per soppiantare quello originario e integrale e sostituirlo con un con­tenuto meno impegnativo e più accomodante, tanto da permettere la conti­nuazione delle routines di una mentalità più o meno conformista. Si potrebbe parlare, a tale riguardo, usando un termine francese, di un escamotage…… ….Da parte nostra sarebbe presuntuoso voler esporre, in questa sede, che cosa sia la Tradizione in senso integrale. Soltanto un cenno sommario qui può trovare luogo. Si possono distinguere due aspetti della Tradizione, l’uno riferendosi ad una metafisica della storia e ad una morfologia delle civiltà, il secondo ad un’interpretazione «esoterica», ossia secondo la dimensione in profondità, del vario materiale tradizionale. Si sa che il termine «tradizione» viene dal latino tradere, cioè trasmettere. A tale stregua esso ha un contenuto indeterminato, per cui lo si vede usare nei contesti più vari e profani. «Tradizionalismo» può significare conformismo, e a tale proposito Chesterton ha detto che la tradizione è «la democrazia dei morti»: come nella democrazia ci si conforma all’opinione di una maggioranza di contemporanei, così col tradizionalismo conformi­sta si segue quella della maggioranza di coloro che vissero prima di noi. Forse pochi sanno che il termine Kabbala ha, letteralmente, proprio il senso di «tradizione», ma qui in relazione alla trasmissione di un insegna­mento metafisico e della interpretazione «esoterica» della corrispondente tradizione, per cui ci si avvicina già a ciò di cui si tratta. Per quel che riguarda il dominio storico, la Tradizione va riportata a quella che si potrebbe chiamare una trascendenza immanente. Si tratta dell’idea ricorrente, che una forza dall’alto abbia agito nell’una o nell’altra area o nell’uno o nell’altro ciclo storico, in modo che valori spirituali e superindividuali costituissero l’asse e il supremo punto di riferimento per l’organizzazione generale, la formazione e la giustificazione di ogni realtà e attività subordinata e semplicemente umana. Questa forza è una presenza che si trasmette, e questa trasmissione, corroborata proprio dal carattere, sopraelevato rispetto alle contingenze storiche, di detta forza costituiva appunto la Tradizione. Normalmente la Tradizione presa in questo senso è portata da chi sta al vertice delle corrispondenti gerarchie, o da una élite, e nelle sue forme più originarie e complete non vi è separazione fra potere temporale e autorità spirituale, la seconda essendo anzi, in via di principio, il fondamento, la legittimazione e il crisma della prima. Come esempio caratteristico si potrebbe citare la concezione estremo-orientale del sovrano quale «terza forza fra Cielo e Terra», concezione che si ritrova in quella della regalità nipponica la cui tradizione si era continuata quasi immutata fino ad ieri, attraverso i secoli. Molti esempi analoghi, tratti anche dal mondo occidentale, li abbiamo riferiti nella nostra opera dianzi citata, met­tendo in evidenza la costanza della corrispondente idea di base. Nell’aspetto ora indicato di una «trascendenza immanente», il tradere, il trasmettere (quindi la Tradizione) riguarda non qualcosa di astratto e di contemplativo ma appunto un’energia che per essere invisibile non è meno reale. Ai capi e ad una élite spetta il compito di curare entro determi­nati quadri istituzionali, variabili ma omologabili nella loro finalità, questa trasmissione. È abbastanza evidente che essa è al massimo garantita se può essere parallela ad una continuità di ceppo o di sangue tutelata da norme rigorose. Di fatto, quando la catena della trasmissione s’interrompe, è assai difficile ristabilirla. Che in tale prospettiva la Tradizione sia l’antitesi di tutto ciò che è democrazia, egualitarismo, primato della società rispetto allo Stato, potere che viene dal basso, e simili, ciò non occorre metterlo in rilievo. Per il secondo aspetto della Tradizione, bisogna rifarsi al piano dottri­nale, e qui il punto di riferimento è ciò che si può chiamare l’unità trascen­dente riposta delle varie tradizioni. Può trattarsi di tradizioni di tipo reli­gioso, ma anche di altro genere, sapienzali o misteriche. Quello che è stato chiamato il «metodo tradizionale» consiste nello scoprire un’unità o corri­spondenza essenziale di simboli, di forme, di miti, di dogmi, di discipline di là dalle espressioni varie che i corrispondenti contenuti di significato possono assumere nelle singole tradizioni storiche. Tale unità può risultare da una penetrazione in profondità della varia materia tradizionale: indagine — ciò deve essere sottolineato — che va distinta dalle ricerche della cosidet­ta scienza comparata delle religioni universali, la quale si tiene alle due dimensioni della superficie ed ha dunque un carattere empirico, anziché metafisico. La facoltà richiesta è piuttosto quella che si potrebbe chiamare «intuizione intellettuale» o «spirituale», intuito intellectualis, e chi ha una sensibilità adeguata si accorge subito se essa è, o no, in opera, in quanto ne deriva, per una certa virtù illuminante, inesistente nei ravvicinamenti estrinseci e stentati propri alla indagine profana e anche a coloro che vor­rebbero fare i tradizionalisti senza una qualche effettiva radice nella Tradizione. E qui ci si può riferire non soltanto agli scrittori cui si è accen­nato al principio e ad altri di uguale estrazione, che civettano semplice­mente con l’idea di Tradizione non essendo che degli intellettuali, ma anche ad alcuni psicanalisti che hanno sconfinato nel campo della simbolo­gia, della mitologia e delle religioni. Inoltre, soltanto il possesso di quella rara e non apprendibile capacità intellettiva può dare anche il senso della misura e prevenire ciò che si potrebbe chiamare «la superstizione della Tradizione». In effetti, vi sono persone che hanno lasciato redini libere alla fantasia e che si sono messe a scoprire dovunque contenuti tradizionali, anche quando essi sono immaginari o si tratta di contesti spuri e primitivi. E’ l’analogo del cosidetto «delirio (in senso psichiatrico) interpretativo» dei freudiani, i quali vogliono trovare dappertutto in azione i complessi del sesso. L’origine delle forme tradizionali pone di fronte a problemi abbastan­za complessi. Per quel che riguarda il primo dei due aspetti qui distinti, ossia l’aspetto storico, viene spesso prospettata l’idea di una tradizione primordiale, dalla quale sarebbero derivate le successive, particolari tradizioni. Ma se si resta sul piano storico, questo concetto dovrebbe venir articolato. Così dell’ipotesi di una tradizione primordiale iperborea o nordico-occidentale per quel che riguarda il gruppo delle civiltà tradizionali dell’area indoeuropea, non si può fare troppo uso per quanto concerne, ad esempio, le forme tradizionali estremo-orientali, le quali sono verosimil­mente da riportarsi ad un diverso ceppo o focolare d’origine. Ma qui più spesso può imporsi il punto di vista da seguire per il secondo aspetto del problema che è la spiegazione di concordanze e di corrispondenze essen­ziali di contenuti tradizionali. E semplicistica, e in parte superstiziosa, l’idea di personaggi, «iniziati» e simili, che nei vari casi abbiano operato coscientemente all’origine di ogni tradizione. Anche se l’idea forse non può essere accolta da tutti senza difficoltà, pure spesso si deve pensare, piuttosto, a influenze, per così dire, da «dietro le quinte» inseritesi nella storia e negli sviluppi delle tradizioni, senza che i rappresentanti di esse se ne rendessero conto. Vi sono anche casi di un «ripullulare» di un’unica influenza a notevoli distanze di spazio o di tempo, quindi senza una trasmissione materialmente rilevabile: quasi come quando un vortice scompare in un dato punto della corrente di un fiume per tornare a formarsi in un altro punto di essa. E quel che si deve pensare in molti casi di corrispondenze tradizionali, in elementi particolari, ma anche nelle strutture d’insieme di date civiltà: le linee di collegamento alla superficie sono inesistenti, qualcosa d’imponderabile entra in giuoco servendosi al massimo di elementi di «sostegno». Ad esempio, la genesi dell’antica romanità, in tutto ciò per cui essa riproduce forme varie della tradizione primordiale indoeuropea, può essere vista sotto questa luce. Infine, devesi considerare il caso che l’influenza in que­stione agisca successivamente, ossia nello sviluppo ulteriore come tradi­zione di una materia originaria, trasformandola, arricchendola e anche ret­tificandola. In una certa misura, ciò sembra essere accaduto nel formarsi della tradizione cattolica dalla materia del cristianesimo primitivo. L’introduzione dell’idea della Tradizione vale a liberare ogni tradizio­ne particolare dal suo isolamento, appunto col riportare il principio genera­tore di essa e i suoi contenuti essenziali ad un contesto più vasto, in termini che sono di un’effettiva integrazione. A scapitarne, sono solamente le eventuali pretese di esclusivismo settario e di privilegio. Riconosciamo che ciò può recar disturbo e creare un certo disorientamento in chi si sentiva ben al sicuro in una data area ristretta, recintata. Però ad altri la visione tra­dizionale aprirà più ampi e liberi orizzonti, infonderà solo una superiore sicurezza, a patto di non barare al giuoco: come nel caso di quei «tradizio­nalisti» che hanno messo mano alla Tradizione soltanto per una specie di condimento alla propria tradizione particolare riaffermata in tutte le sue limitazioni e in tutto il suo esclusivismo.

Julius Evola

sabato 5 gennaio 2008

Grande Spirito - Incontro con gli Indiani nordamericani

Meritevole di una certa considerazione è la nuova opera di Rutilio Sermonti, espressione del tentativo, peraltro ben riuscito, di far chiarezza sul mondo degli Indiani d’America e di mettere in luce gli aspetti solari ed eroici tipici di questa civiltà.
Alla veneranda età di 83 anni, dopo anni di intensi studi e sospinto dalla consueta passione e dal forte desiderio di verità, l'autore ci permette di scoprire un mondo fatto di uomini animati da coraggio, lealtà e amore per la propria tribù e che per essa hanno dimostrato di saper lottare fino all'estremo sacrificio. L'intento di Sermonti è proprio quello di sfatare quella serie di pregiudizi che vedono i pellerossa come rozzi e crudeli assassini adoratori di strani dèi e seguaci di primitivi riti. Egli dimostra, infatti, come la cultura degli Indiani fosse in realtà molto vicina a quella europea e come un'intensa vita spirituale scandisse l’esistenza di ciascuna tribù. La Natura in ogni sua manifestazione era per loro espressione del "Grande Spirito", vale a dire di Dio. La continua ricerca della perfetta armonia tra Uomo e Natura era ciò che guidava ogni azione quotidiana, fosse essa la caccia o l'agricoltura. In un alternarsi di epici racconti e dettagliate ricostruzioni, con una serie di pregevoli illustrazioni opera dello stesso Sermonti, le pagine scorrono velocemente tra le mani, perché la storia di un popolo che ha conosciuto e visto in faccia la sua stessa morte per opera di un nemico molto più forte e senza alcuno scrupolo, appassiona ed emoziona. Il nuovo libro di Sermonti è quindi un ottimo contributo al processo di rivisitazione storica che ogni serio studioso dovrebbe fare, ma soprattutto è uno stimolo alla comprensione di quanto per la vita di un uomo e di una civiltà sia importante l’elemento spirituale. Chissà come sarebbe il mondo se oggi al posto della bandiera a stelle e strisce ci fosse il vessillo Indiano..?

Rutilio Sermonti, Società Editrice Barbarossa, Milano 2004 - p. 192, € 15.00